domenica 13 maggio 2012

Il grande sonno di Mike Fiaschetti

Se non avete mai sentito parlare di Mike Fiaschetti, trovatevi subito un robusto alibi o preparatevi all’incalzare di un impegnativo terzo grado. Perché Fiaschetti era un detective dalla pelle indurita di cuoio di rinoceronte, un poliziotto che imprecava dagli angoli della bocca fumando un sigaro tra le labbra, un investigatore con indosso il paletot chiaro e in tasca una pistola automatica per combattere delinquenti di ogni tipo, quando ancora non era giunto il cinema ad uniformarli tutti in improbabili Scarface. Fiaschetti, insomma, era un duro.

Eppure Mike non era stato tirato su alla scuola dell’hard boiled. Intanto perché era nato come un più mite Michele a Morolo, in Provincia di Frosinone, nel 1881. Poi perché il padre era un maestro di banda che insegnò al figlio a districarsi solo fra fiati ed ottoni fino a quando non ebbe compiuto i dieci anni. Nel 1891, infatti, Fiaschetti padre prese i bagagli e le mani dei suoi cari per portarli con sé negli Stati Uniti d’America, in cerca di miglior sorte. Oltreoceano il padre condivise la passione per le arie liriche di Verdi e Mascagni con un altro connazionale emigrato, di cui divenne amico. Si trattava di Joe Petrosino che di lì a poco si sarebbe arruolato nella polizia di New York con lo specifico compito di combattere la Mano Nera, l’organizzazione mafiosa di origine italiana che imperversava sulla città, senza che le autorità locali ne capissero codici e strategie. Petrosino indovinò nel giovane Michele l’istinto del detective e gli trasmise i segreti delle azioni sotto copertura, le astuzie psicologiche e l'applicazione dell’interrogatorio di terzo grado. Fu così che nel 1905, quando fu posto a capo di un manipolo di cinque poliziotti italiani chiamato “ The italian Squad”, Petrosino scelse come suo secondo il figlio del maestro di banda di Morolo, che si era già fatto le ossa come mordace agente di quartiere. Fiaschetti nel frattempo aveva preso moglie e, nello stesso anno, era diventato padre di una bimba e vedovo. Deciderà di non risposarsi più, dedicando l’intera sua vita al lavoro e alla figlia. Nel 1909, dopo la tragica morte di Petrosino, l’Italian squad rimase ufficialmente inattivo per il timore del ripetersi di qualche attentato a danno dei suoi componenti.

Solo nel 1918 la polizia di New York decise di riformare ufficialmente la squadra italiana e vi mise a capo Mike Fiaschetti. Il nuovo comandante seguiva un modus operandi differente da quello di Petrosino, tradizionalmente legato alle attività sotto copertura. Fiaschetti, invece, confidava per le sue indagini sulle crepe che inevitabilmente si aprivano nel muro d’omertà edificato dai mafiosi, soprattutto se si offriva loro in cambio il godimento di alcuni benefici volti ad alleggerire il regime carcerario. Fiaschetti, dopo il congedo, raccontò quegli anni in due serratissimi libri in inglese e nelle sue memorie a puntate che gli italo americani leggevano con orgoglio, in italiano, sul “Corriere d’America”. 

In una lingua scoppiettante Fiaschetti mise subito le cose in chiaro. Dopo aver arrestato oltre 1.000 delinquenti e mandato sulla sedia elettrica 12 pluri omicidi (ma si diceva contrarissimo alle pena di morte e cercò sempre di evitarla, per quanto possibile, ai colpevoli da lui arrestati) si prese, da scrittore, lo spassoso lusso di mandare preventivamente al diavolo Sherlock Holmes, la sua lente di ingrandimento e il suo metodo d’indagine. Fiaschetti sa che i delitti si commettono tutti per denaro o per donne e a suon di pistolettate o coltelli e che questa è l’unica cosa elementare di una indagine, dottor Watson. Per il resto Holmes gli appare alla stregua di una bizzarra macchina calcolatrice, che procede a colpi di irreali deduzioni. L’attività investigativa, invece, è un paziente lavoro di ragno e di segugio e puzza di tutto il resto del regno animale. Si svolge tra cene ed appuntamenti in teatro che preparano appuntamenti all’ultima revolverata. È presidio nei quartieri dove la gente viene uccisa per strada e i cadaveri si seppelliscono sotto ai contatori del gas. È sfida con gangster ebrei, greci, irlandesi che si recano dal fornaio italiano per cremare cadaveri scomodi, traditi nell’attimo decisivo dall’infallibile indagine del detective Fiaschetti della squadra italiana della Polizia di New York che manda a monte ogni tentativo di melting pot criminale. L’unico sentimento che abbonda nei suoi racconti, oltre alla determinazione di trascorrere intere giornate a fianco di assassini per costringerli con la sua sola presenza ad una pressione psicologica che sfocierà nella confessione, è l’ironia. Una ironia new yorkese che è il sorriso del forte, di quello che ha saputo fare la cosa giusta. E mentre mandava Sherlock Holmes ad esaminare impronte all’inferno, Fiaschetti dalle colonne del Corriere d’America chiederà a gran voce uno scrittore capace di raccontare una indagine senza esotici veleni o cervellotiche motivazioni, ma secondo i criteri del reale. È il 1939 e nessuna coincidenza ha mai saputo resistere a delle domande ben poste, meno che mai se formulate da un duro. Nel giro di pochi mesi Raymond Chandler pubblicherà la prima avventura del suo Philip Marlowe, dando vita a un ciclo di romanzi polizieschi dove la “gente commette delitti per ragioni concrete e non per fornire un cadavere a lettori oziosi.”

Fiaschetti, però, non ha i tormenti dell’eroe Chandleriano. I suoi luoghi non sono gli ombrosi locali notturni di Marlowe, ma i ristoranti italiani dalle tovaglie a quadri, dove si servono ravioli al sugo e il pranzo viene interrotto dal bang bang proveniente dal locale adiacente, a segnalare un altro caso per la polizia. L’abilità del detective, poi, non è quella deduttiva che deriva da un sapere enciclopedico, né l’uso della forza, ma la capacità di creare una rete fittissima di informatori, che nel colorito gergo della malavita vengono definiti "stool pigeons", ovvero assimilati agli imprendibili piccioni viaggiatori utilizzati in passato per i messaggi segreti. Gli stool pigeons che consentono a Fiaschetti di dipanare matasse intricatissime sono solitamente relitti da bassa marea della vita: affittacamere, portinai, camerieri e, soprattutto, piccoli delinquenti. Ma anche donne tradite, manovalanza criminale scontenta del trattamento ricevuto dalla banda, biscazzieri, bootlegers e tenutarie di bordelli interessati alla tranquillità del quartiere. La moneta con cui si pagano gli stool pigeons, contrariamente a quanto si pensa,  non è il denaro. Gli informatori, infatti, si legano al detective da un saldissimo vincolo di gratitudine dopo che il poliziotto ha chiuso un occhio su un loro piccolo delitto. Una omissione che consente, però, di scoprire reati maggiori. Non di rado Fiaschetti infrange la legge per tessere la sua rete di informatori, ma si appropria del noto motto di Machiavelli sul fine e sui mezzi per bonificare il suo agire agli occhi dei lettori .

Machiavelli, in verità, è più lontano di quel che lo stesso detective pensava. La dicotomia tra la legge e la pratica necessaria per farla rispettare, il teatro che Fiaschetti imbastisce tirando i fili di vittime o assassini, belle siciliane o colleghi riottosi, sono indirizzati al colpo di scena dell’arresto conclusivo, al conseguimento del massimo risultato e di una virile stretta di mano da parte dei superiori ammirati. In fondo anche Al capone si sentiva un figlio di quell’America che aveva il mito del self made man e poco si curava se i gangster coniugavano il verbo dell’egualitarismo democratico e dell’ individualismo nei tempi propri della malavita organizzata. Il loro modo di agire appariva semplicemente come l’espressione più spietata del capitalismo. Così Fiaschetti, pratico, tenace, metodico e attento al sodo delle questioni, più che al Principe di Machiavelli è simile al capo di una holding che tramite i suoi stool pigeons ha quote occulte nelle varie società malavitose per controllarne la gestione e trarne profitto.

Dopo una vita trascorsa a combattere il crimine Fiaschetti si congedò con varie onorificenze dalla polizia nel 1922. Vi ritornò per una breve parentesi negli anni ’30, quando venne richiamato dal sindaco Fiorello La Guardia per occuparsi della lotta al racket. L’Italian squad veniva contestualmente sciolto su pressioni di un avvocato e politico newyorkese che Fiaschetti aveva fatto allontanare durante un interrogatorio. La motivazione ufficiale fu che la squadra italiana risultava essere un insulto etnico, in assenza di analoghe squadre irlandesi o ebree. Come dimostrò l’enorme partecipazione di popolo ai funerali di Petrosino, invece, la squadra italiana era un motivo di orgoglio etnico e un collante al senso di appartenenza al paese di adozione. Non più al riparo dalla protezione culturale e fisica degli agenti italiani, il richiamo romantico dell'esistenza fuorilegge, dei padrini sanguinari, dei picciotti in spavaldo doppiopetto e dei feroci codici d’onore, tracimerà invadendo l’immaginario collettivo americano, consolidando lo stereotipo dell’italiano mafioso e declinandone la figura in tutti i registri della rappresentazione mediatica: il cinema, la letteratura, i fumetti, i talk show, il reality, le serie TV. 
Dopo il congedo Fiaschetti praticherà l’unico mestiere più sporco di quello del detective: il detective privato, aprendo a Broadway il Fiaschetti’s International Detective Bureau.

Partecipò anche ai percorsi di addestramento dell’esercito americano per la seconda guerra mondiale. La sua fama, non consacrata da una morte violenta come per Petrosino, si andò progressivamente spegnendo. Di lui non si conosce più nulla se non la data e li luogo di morte, avvenuta il 29 luglio del 1960 in un ospedale di Brooklyn. Nemmeno il sito internet del suo paese di origine lo ricorda tra i concittadini illustri. Ci vorrebbe uno Sherlock Holmes richiamato con le dovute scuse dall’inferno per ricostruire i suoi ultimi anni di vita. Sospetto, tuttavia, che l'infallibile creatura di Conan Doyle avrebbe gioco facile nel guardarci da dietro la lente d’ingrandimento e risolvere il caso raccontandoci con superiore distacco che l’esito riservato a tutti e soprattutto ai duri, quando si va sciogliendo il grumo di spazio e di tempo che noi uomini siamo, non può che essere triste, solitario e finale.


 Fonti, rimandi, fanatismi e ispirazioni:
Gioco duro di Micheal Fiaschetti, Avagliano Editore
Su wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Michael_Fiaschetti
Alcune pagine tratte da You gotta be rough (in inglese): http://bsiarchivalhistory.org/BSI_Archival_History/Fischetti.html
Il profiilo su The American mafia (in inglese) http://mob-who.blogspot.it/search/label/Fiaschetti