giovedì 28 aprile 2011

L'inventore che trovò occupato il telefono della Fortuna


Se non si trattasse di un’esistenza reale, si potrebbe raccontare la storia di Antonio Meucci come un melodramma che scivola di tanto in tanto nell’opera buffa.
Il sipario si apre a La Havana, su un uomo con un elettrodo in bocca e dei fili attaccati alla testa. Ha appena ricevuto una potente scarica elettrica che lo ha fatto urlare con un grido da tenore. Accanto a lui si trova il protagonista della nostra storia, quello che ha scaricato alcune decina di volt sul malcapitato. Non è un aguzzino, ma un improvvisato dottore di elettroterapia medica. Si chiama Antonio Meucci e ha appena scoperto che l’elettricità può trasmettere la voce umana.
È l’autunno del 1849. Nello stesso istante, a diverse longitudini di distanza, in Scozia, Alexander Bell, che tutto il mondo celebrerà come l’inventore del telefono, è anche lui alla prese con degli urli. Sono quelli di un bambino di due anni e non può essere diversamente visto che quella è la sua età.

Ma cosa ci faceva un italiano a Cuba, a metà del diciannovesimo secolo? Meucci si trovava sull’isola ormai da 14 anni, un po’ esule, un po’ emigrato economico. Era nato nel 1808 in quartiere popolare di Firenze ed era stato doganiere, patriota liberale, carcerato per ragioni politiche, capo macchinista al teatro della Pergola, innamorato della giovane sarta Ester Mochi, che aveva sposato. Era stato, insomma, un giovane ostinato ed appassionato. Nel 1835, stanco del Granduca di Toscana e delle scarse opportunità lavorative, si imbarcò da Livorno con la moglie, accettando la scrittura di un impresario catalano per operare al teatro de La Havana, uno dei più grandi ed importanti al mondo. Grazie ad alcune sue trovate sceniche e agli studi di galvanizzazione che applicò ad accessori militari, ben presto Meucci diventò un uomo ricco. L’invenzione della macchina per l’elettroterapia per curare i reumatismi, infine, ne fece uno degli uomini più agiati e rispettati della capitale cubana. Nel 1850, tuttavia, i movimenti insurrezionali contro l’amministrazione coloniale spagnola costrinsero Meucci a trasferirsi negli Stati Uniti d’America. Si chiude qui il primo atto di una vita fino a quel momento fortunata.

La scena si sposta a New York dove Meucci e la moglie si stabilirono comprando un cottage a Staten Island. A New York l’inventore incontrò tanti connazionali esuli e diventò il loro punto di riferimento, impiegando parecchi italiani presso la fabbrica di candele che commercializzava grazie ad una sua personale procedura di produzione. Assunse come lavorante anche Garibaldi, già famoso ed in esilio, con cui strinse amicizia. Per un italiano che non sapeva parlare l’inglese, però, l’America non è un paese facile. Sono gli anni in cui la Commissione per l’immigrazione descrive gli italiani come persone “il cui carattere, che appartiene a un ordine di intelligenza inferiore, rende impossibile conservare gli ideali più alti della moralità e civiltà americana.” Sul  New York Times si possono leggere feroci descrizioni degli italiani che “hanno portato in questo Paese gli istituti dei fuorilegge, le pratiche degli sgozzatori, l’omertà della società del loro Paese, sono per noi un flagello senza remissione”.

In questo clima Meucci si muove col suo genio inesauribile, ma dimostrando i suoi limiti come uomo d’affari. La concorrenza, la diffidenza degli americani, le truffe di un faccendiere statunitense che promette di curargli gli interessi e gli procura solo creditori e una serie di rovesci economici, lo costrinsero a chiudere prima la fabbrica di candele, poi quella di birra che l’aveva sostituita. In poco tempo l’italiano ricco giunto da Cuba era ridotto sul lastrico. Come se non bastasse, negli stessi anni, la moglie si ammalò di una grave forma di artrite reumatoide. Le disgrazie, però, non abbatterono Meucci che continuò a mantenere Ester grazie ad una serie di brevetti (bevande gasate al gusto di frutta, fogli di carta particolarmente resistenti, sughi pronti per la pasta). L’idea fissa, tuttavia, era quella del telegrafo parlante di cui aveva avuto intuizione a Cuba e che perfezionava ogni giorno anche per tenere le comunicazioni dal suo studio alla stanza in cui la moglie era costretta a letto. Intorno al 1861 fu pronto il prototipo, che lui aveva battezzato “telettrofono” Siracconta che ad Ester toccò la prima battuta: "Meucci, come stai?" e il marito: "Vuoi che ti preparo gli spaghetti?". Un dialogo che cova, nella sua tenera banalità, l'embrione di miliardi di conversazioni all'apparecchio telefonico.

La condizione economica dei Meucci, tuttavia, era ormai prossima alla miseria e Antonio non possedeva i 250 dollari necessari al brevetto della sua invenzione. Il 30 luglio 1871, per di più, la fortuna continuò a guardare lontano, forse verso Cuba, che aveva raggiunto l’indipendenza, forse verso l’Italia anch’essa libera e una. Non di certo verso un anziano inventore italiano a bordo di un ferry boat diretto da New York a Staten Island. L’esplosione dei motori di bordo costrinse Meucci  ad una lotta di  tre mesi tra la vita e la morte. Ester nel frattempo, oppressa dai debiti, vendette ad un rigattiere per 6 dollari tutti i prototipi e i disegni sul telefono del marito. 
Meucci, tuttavia, aveva una vitalità straordinaria. Si riprese, realizzò nuovamente i suoi modelli e, grazie ad una colletta tra i connazionali, riescì ad ottenere un brevetto provvisorio sul telettrofono che rinnoverà solamente dal 1871 al 1873. 
Nel 1872, inoltre, Meucci consegnò i disegni del suo apparecchio al vicepresidente dell’American District Telegraph di New York che però non ne presagì le potenzialità, finendo addirittura per smarrire tutta la documentazione. Purtroppo per l’italiano, in quella stessa società  lavorava come consulente Alexander Graham Bell che nel 1876 presentò all’ufficio brevetti il proprio apparecchio telefonico che da lì a poco lo renderà il ricchissimo padrone di un impero delle telecomunicazioni. A Meucci non restò che la strada processuale contro “l’usurpatore Bell, il ladro di genio altrui”, come lo definisce in una sua lettera. Noi non saremo così severi con Alexander Bell. Il rivale di Meucci era in fondo un filantropo, speculare all’italiano in genialità e nello scarso fiuto per gli affari. Venne estromesso quasi subito dalle posizioni di potere della società che portava il suo nome e tornò a dedicarsi, con sicuro effetto ironico, ai sordomuti, gli unici che sarebbero rimasti divinamente indifferenti a tutto il can can sul telefono. 

Pur con il sostegno di tutta la comunità italiana a Staten Island, Meucci sarà costretto a lunghi dibattimenti processuali con Alexander Bell. È un processo di cui l’inventore italiano non vedrà comunque l’esito a causa della morte, avvenuta nel 1889 ad 81 anni di età. Nelle sue ultime lettere, ormai rassegnato, pare di poter avvertire più l’amarezza per la lontananza ultracinquantennale dall’Italia che non quella per lo scippo del telefono.
La paternità dell’invenzione che ha abolito gli spazi ed aperto le porte alla modernità rimane uno dei casi più discussi nelle aule di tribunale. Il processo si concluderà senza un vero vincitore, quando il Governo degli Stati Uniti deciderà di non dare più corso alla causa contro Bell. Quando parlano dell’invenzione del telefono, tuttavia, i libri scolastici, le enciclopedie, i manuali, i quiz televisivi di tutto il mondo ricordano solo Alexander Bell. Meucci, ad esclusione dell’Italia, è un nome ignoto ai più. Si deve agli studi e alla appassionata ricerca di Basilio Catania (recentemente scomparso) se il caso Meucci è stato riaperto. Solo nel 2002, ad oltre 130 anni di distanza dalla prima conversazione “telettrofonica” tra Antonio ed Ester, il Congresso Americano, spinto da nuovi documenti tecnici e storici e con l’impulso di diversi deputati italo americani riconoscerà ufficialmente il contributo prioritario di Meucci nell’invenzione dell’apparecchio telefonico. 
Mi piace pensare che nel regno delle anime trapassate Antonio Meucci sia riuscito a dipanare il filo che consente di comunicare con i vivi, potendosi consolare così del suo sfortunato transito terrestre e della gloria mancata e rendendo  anche quel mondo di ombre meno vasto e meno triste.



fonti, rimandi, ispirazioni e fanatismi:
Il sito di Basilio Catania:: http://www.chezbasilio.it/meucci.htm
La pagina di wikipedia:  http://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Meucci
La puntata dedicata a Meucci da La Storia siamo noi: http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=92
Il sito del museo Garibaldi - Meucci a New York: http://pub1.andyswebtools.com/cgi-bin/p/awtp-home.cgi?d=garibaldi-meucci-museum

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